al termine del suo servizio pastorale
Oliena, 31 Luglio
Avrei potuto frugare tra le cartelle del mio pc e riesumare i files con i discorsi che nell’oramai consolidato ciclo triennale ho rivolto alle comunità dove sono stato mandato e che poi ho dovuto lasciare. Mi avrebbe fatto comodo scopiazzare per la quarta volta che, dopo Nuoro, Siniscola, Dorgali e Oliena, il Vescovo mi chiede di dover dare il mio contributo in un altro paese ancora. Se così avessi fatto, non solo ne avrei dato l’impressione, mi sarei davvero convinto io per primo che si tratta di un’abitudine; e poi è probabile che possa presentarsi la tentazione della rassegnazione, specie quando sento dire che «tanto si tratta semplicemente di giovani viceparroci» e quindi una loro mobilità sembra scontata.
Invece, allo stesso modo, considero un collaboratore parrocchiale, quale sono io, sempre una persona, con i suoi sentimenti, la sua passione, il suo cuore, che difficilmente si lascia ingannare dalla routine e non vuole privarsi dell’emozione! Allora, per condividere quel che provo davvero, devo subito e pubblicamente chiedere scusa se ho solo pensato, senza dirlo a nessuno, di sentirmi un pacco trasportato da una parte all’altra: un pensiero che offende la verità della vocazione e della missione, ma nasce crudelmente dall’ingestibile consapevolezza di legami e affetti che segnano la vita e sovente si tramutano in parentesi malinconiche.
In bilico tra l’obbedienza e l’egoismo, non saprei nemmeno che parole utilizzare e con quale tono accompagnarle. Lo si può intuire facilmente, perché è motivo di chiacchiere veloci: se dovessi dire che mi dispiace, la conclusione affrettata potrebbe essere quella che non vorrei andare a Ollolai; se dicessi che son felice del nuovo incarico, chissà quanti emetterebbero la sentenza secondo la quale a Oliena non mi son trovato a mio agio. In questo caso parlano i fatti, l’historia magistra vitae, che mi ha insegnato che se non mi fossi fidato nel 2009, 2012 e 2015 non avrei piacevolmente trovato quel che nemmeno cercavo! Ho sempre condiviso ambizioni e perplessità con i miei vescovi e, sia quando sono stato ascoltato e sia quando mi hanno lasciato cantare, è andata comunque provvidenzialmente bene. Per questo, oggi, dico ancora “Sì” per il domani, senza rinnegare nulla di ieri. Che a conclusione di tre anni, dopo aver appena conosciuto ed essersi inseriti, non ha senso partire per altra destinazione, è stato detto da altri prima di voi. Sono riflessioni razionali che non lasciano spazio alla magia del tempo breve di un baco da seta che dà vita alla crisalide piena di colori, che volano alti e regalano pace solo a vederli. Non sono i lunghi e arzigogolati ragionamenti a dare risposte, ma i piccoli segni, come semina Verbi, che germogliano nei solchi di chi aspetta la fioritura della verità.
Vi aspetterete certamente un elenco di persone e situazioni legate al mio ministero per cui associare un «grazie» sentito e doveroso, però - forse spiazzandovi - la prima realtà che menziono espressamente è il Supramonte, luogo di Dio e simbolo di Oliena, dove «ritirarsi in disparte», come ascoltavamo recentemente nelle letture della Messa, soli con il maestro, e riposare «sopra il monte più alto del mondo, a guardare i sogni arrivare leggeri». Volare negli «interminati spazi», cullarsi nei «sovrumani silenzi» e tuffarsi nella «profondissima quiete». Il nostro Supramonte, impenetrabile quanto il trascendente, pauroso quanto il totalmente altro, arido quanto la precarietà umana, imprevedibile quanto la debolezza adamitica, impervio come il cammino esistenziale. Eppure basta trovare la delicata peonia e attendere l’incantevole tramonto, scorgere la graziosa luna e percepire l’agile scatto del muflone, seguire la fresca alba e salutare una timida martora, imbattersi in un simpatico brulicare di coccinelle e invidiare il volo mestolo dell’aquila regina… che «il naufragare si fa dolce». In più, lungo le camminate ad alta quota, tra una sorpresa e l’altra, incastonare le tappe dell’avventura sacerdotale, come davanti al tabernacolo: ripensare alle Messe, alle prediche, ai battesimi, alle prime comunioni e alle cresime, alle confessioni, ai matrimoni, ai funerali, alle visite, alle processioni, alle novene, alle catechesi, alle riunioni, alle uscite, ai campi, alle lezioni… Un vedere Dio in tutto, come dicevo nell’omelia citando il nostro patrono, e risentire sul Corrasi la piacevole eco del discorso della montagna rivolto anche a me: «Luca, guarda gli uccelli del cieli, i gigli e l’erba del campo; contempla l’armonia sicura del creato! Vuoi che non faccia molto di più per te, uomo di poca di fede?». È una promessa che disseta come la sorgente carsica più grande del nostro territorio. Di fede ne basterebbe davvero un granellino per capire che Dio è l’Emanuele anche nella tradizionale e allegra danza colorata dai costumi, nel buon Nepente, nel party del formaggio con i vermi, nel raduno dei ciclomotori, nella cordialità della propria contrada, nelle Cortes apertas. Senza grandi pretese, coerentemente a quanto faceva il «mangione e beone» di Galilea, si crea comunione anche nelle occasioni meno ortodosse.
Momenti così significativi restano indelebili nella mia memoria; se dovesse catturarmi l’Alzheimer spero che le tante foto che ho scattato mi aiutino a liberarmi. Emozioni che pesano anche nostalgicamente e vorrei lasciare qui, per alleggerire il peso dei miei bagagli come don Camillo che, nel secondo film del 1953 («Il ritorno di don Camillo», appunto), sale nel suo lontano, isolato e innevato paesino di montagna con un solo baule contenente l’essenziale. Mi viene in mente la stupenderrima Nike di Samotracia, così come è rivenuta a noi e custodita al Louvre, ovvero acefala, illuso di potermi decapitare la ragione per volare più speditamente col cuore spalancato, come il petto aperto della scultura stessa, guidando vittorioso dalla prua il viaggio verso il centro della Barbagia, senza altri pensieri (comprese le preoccupazioni materiali, perché traslocare è impegnativo anche dal punto di vista economico). Ma dove potrei andare chene conca? E ho bisogno anche delle braccia e delle mani, di cui l’opera attribuita a Pitocrito è monca, per afferrare e custodire tutto ciò che incontro: è curioso che in italiano tanti verbi che esprimono moti dell’anima e dello spirito derivino da “prendere”, l’azione di afferrare che compie la mano: ap-prendere, sor-prendere, intra-prendere, com-prendere… Questo a ricordare forse la perfetta corrispondenza tra pensieri, parole e opere. Ecco che, prima di esplicitare la mia gratitudine, rinnovo le scuse per mie incoerenze, difetti, impazienze, distrazioni, superficialità. Confido anzitutto sulla misericordia celeste e poi spero anche nella vostra carità; e se non ci fosse clemenza, considerate che Dio si sa servire anche del male per fare il bene. Io, come servo inutile, non indispensabile, ho cercato di «fare solo quanto mi è stato comandato» e successivamente di mettermi da parte.
Ora lasciatemi esprimere tutta la gratitudine a voi che, stranamente, con tutte le storiche ma simpatiche rivalità tra Nuoro e Oliena, al di là di ogni campanilismo, avete accolto un Boboreddu senza bocca storta tra di voi.
Ringrazio anzitutto la mia famiglia, per la sua discreta vicinanza e costante presenza; ringrazio i miei genitori, Andrea (oramai cittadino onorario di Oliena, per il quale nei miei tre anni ho sempre e solo raccolto apprezzamenti e lodi per la sua serietà, professionalità e cortesia nel lavoro, al punto che tanti sono convinti che sarebbe dovuto diventare lui prete, non io), Valentina (che non immagina certo mio fratello sacerdote) ed Elena, i parenti più stretti, gli amici e compari con i figliocci, ex parrocchiani delle comunità in cui sono stato fino al 2015.
Ringrazio il Vescovo, Mons. Marcia, per la fiducia accordata e per la bella proposta per i ritiri del clero nell’anno pastorale appena trascorso, gli amici sacerdoti e i confratelli della forania.
Dico “grazie” con emozione a don Mattana, per il quale potrei tessere meritati elogi, conoscendoci da quasi trent’anni! Ma sono cose che già sapete e per questo lo ringrazio fondamentalmente per due caratteristiche: in primis la sua pazienza, propria di un buon agricoltore che semina la parola; secondariamente (non per importanza) la sua costante e silenziosa testimonianza davanti al dolore. Il nostro Parroco è sempre pronto a portare, semplicemente con la sua presenza, la preghiera, un consiglio e il sollievo laddove c’è malattia, sofferenza, morte. Davanti alle riflessioni intorno ai temi della vita ecclesiale, a livello particolare o universale, molto saggiamente don Mattana ha sempre detto che non è questione di documenti o convegni, ma di un impegno lungo e graduale che piano piano, se si è perseveranti, dà frutti di risurrezione che nascono dall’albero della Croce. Aggiungo un terzo motivo di riconoscenza, come ho fatto il 16 Luglio scorso: grazie per il restauro della chiesa parrocchiale e per il messaggio spirituale ad esso intrinseco, nella volontà di richiamare costantemente il bisogno di purificazione interiore in quanto tempio vivente dello Spirito. Ringrazio anche i suoi fratelli e le sue sorelle.
Non dimentico don Puddu, sempre pronto e disponibile quando la salute glielo permette. Mi son sempre chiesto come faccia a non adirarsi mai: non l’ho mai visto seccato o stufo, ma sempre attento e presente.
Ringrazio le diverse realtà che nella comunità parrocchiale di Oliena vedono protagonisti numerosi laici impegnati e costituiscono l’espressione del popolo di Dio: il Consiglio pastorale, i catechisti e i ragazzi con le loro famiglie, il gruppo ministranti, l’AC, l’Agesci, l’Adi, la redazione de Su Patiu, i comitati e i priorati, il coro, la polifonica, le coppie, coloro che si occupano del decoro delle chiese o riordino delle sacrestie e soprattutto la Caritas! Nessuno me ne voglia se confesso quanto la Caritas parrocchiale abbia rappresentato per me la forma più autentica di evangelizzazione di questo paese, dal personale a tutti coloro che generosamente hanno pensato agli indigenti.
Anche le realtà sociali e istituzionali, come l’Amministrazione attuale e passata, l’Arma dei Carabinieri, la Polizia municipale, il Presidio turistico, la Pro loco, l’Aso, Cooperattivamente, l’Auser, le società sportive e altre associazioni di carattere culturale e musicale, mi hanno offerto l’opportunità di condividere momenti piacevoli di amicizia! Dal momento in cui ho passato metà delle mie giornate tra i banchi di scuola, permettetemi di salutare la dott.ssa Bacchitta, i colleghi, il personale e i quasi cinquecento ragazzi nati tra il 2002 e il 2007 dell’Istituto comprensivo di Oliena.
Un altro regalo di questa esperienza è l’essermi innamorato di padre Solinas, vanto e simbolo delle generosità e religiosità di questo paese, che sento molto vicino: vorrei che presto venga canonizzato, insieme ad Antonia Mesina e Maria Gabriella Sagheddu, e mi piacerebbe apprendere la tanto attesa notizia possibilmente dagli olianesi stessi, non da altre fonti! Il giovane martire e nostro compaesano ricorda qual è l’identità di Oliena: tutto quel che siamo è merito della missione della Chiesa, la quale, attraverso uomini di buona volontà della Compagnia di Gesù, hanno portato il Vangelo vivo e concreto alle falde del Corrasi. Per è molto significativo esprimere i miei pensieri nel giorno della festa di Sant’Ignazio di Loyola e mi sento in dovere di ribadire l’urgenza di assicurare il dovuto ricordo di quanto il nostro partono ha fatto e sta facendo per Oliena. Anche con questi sentimenti e convinzioni, ho il piacere di donarvi la vetrata realizzata da don Corrias e dai f.lli Gaddari collocata nella facciata di questo tempio e la monumentale Storia della Chiesa dello Jedin che trovate presso la Biblioteca comunale, perché non vi dimentichiate dei vostri maestri e magari possiate pensare ogni tanto anche a me.
Alla fine un grazie a don Filippo, parroco emerito di Ollolai, che ha accolto con entusiasmo la mia nomina e si è dimostrato subito disponibile nei miei confronti! E grazie, unito all’augurio sincero, a don Paolo Carzedda, amico e giovane da mille virtù, che stimo insieme a tutta la sua famiglia! Molto spesso, nei nostri criteri di valutazione – il più delle volte non richiesti – si pensa che un paese necessità più di altri di un viceparroco o di un collaboratore sulla base del numero di abitanti oppure delle realtà che danno lustro alla parrocchia stessa… Ma è sempre più importante tenere presente i bisogni e i diritti di un neo consacrato, perché i primi anni di ministero, nella serenità e nelle esperienze, rappresentano un investimento, affinché lo stesso novello sacerdote cresca e si arricchisca di doni e talenti da far maturare sempre più, per poi restituirli alla Chiesa ancora.
L’ultimo pensiero ai piccoli, ovvero i bambini e i diversamente abili, i quali sono stati e restano una gioia. Vorrei fare anche i nomi dei ragazzi ma meglio non rischiare, anche perché è possibile che abbia già involontariamente dimenticato qualcuno. Grazie a ciascuno per l’ospitalità, gli incoraggiamenti, la franchezza dettata dal volersi bene e aiutarsi vicendevolmente. Ci siete tutti e ci sarete sempre, specificando che non è un “addio”, ma un “arrivederci”, perché io verrò a trovarvi e allo stesso tempo vi aspetto.